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Marco Filippini

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Terapia del dolore, confermato l’effetto dell’impegno mentale sulle endorfine

15 ott 2013

Terapia del dolore, confermato l’effetto dell’impegno mentale sulle endorfine

Una scoperta importante sul fronte della terapia del dolore: si può soffrire meno se si viene distratti da un compito mentalmente impegnativo

È il risultato a cui sono giunti i ricercatori della Clinica Universitaria di Amburgo-Eppendorf, il cui lavoro è stato oggetto di una pubblicazione sulla rivista “Current Biology”.

Apparentemente nulla di sorprendente, avendo tutti avuto esperienza concreta di come i processi cognitivi possano alterare le percezioni, tra cui anche quella del dolore. Ma la scoperta di Amburgo va oltre. Utilizzando tecniche di neuroimmagine, per osservare l’attività del midollo spinale, è stato dimostrato che la distrazione dovuta all’impegno in una particolare attività mentale permette di ridurre la sensazione dolorosa alterando la produzione di endorfine, gli oppioidi endogeni prodotti naturalmente dall’organismo per alleviare la sofferenza. Non è quindi un semplice effetto psicologico, ma a un vero e proprio meccanismo neuronale che produce una concreta inibizione della risposta ai segnali dolorosi: da tenere in considerazione, per un’opportuna terapia antalgica.

Coloro che hanno preso parte alla ricerca dovevano svolgere una serie di esercizi mnemonici, alcuni più semplici, altri più complessi. Durante l’esecuzione del compito, i partecipanti venivano sottoposti a uno stimolo termico che provocava una sensazione di dolore. Le rilevazioni effettuate sui soggetti alle prese con gli esercizi più impegnativi hanno evidenziato una ridotta attività del midollo spinale e, di conseguenza, una minore esperienza dolorosa.

Per attestare ulteriormente che ad essere coinvolte dal fenomeno fossero le endorfine, i ricercatori hanno ripetuto il test somministrando ai partecipanti sia il naloxone, farmaco antagonista degli oppioidi, sia del placebo. Con naloxone, l’effetto analgesico della distrazione mentale era inferiore del 40% rispetto a chi aveva assunto il placebo. Ciò conferma il coinvolgimento degli oppioidi endogeni nel processo.

La scoperta ha anche un interessante risvolto terapeutico. L’approccio cognitivo-comportamentale potrebbe diventare in futuro un ulteriore strumento nella lotta al dolore cronico.

FONTI: http://www.cell.com/current-biology/abstract/S0960-9822%2812%2900393-4